Elogio al mio e a tutti gli accenti
“Perchè ti infastidisce così tanto?” mi ha chiesto un collega del norditalia vedendomi infastidita dopo che aveva ripetuto una mia frase provando ad imitare il mio accento meridionale. Non ho risposto alla domanda, ma dentro di me ho pensato: devo davvero spiegarti perchè mi da fastidio?
La parola è uno strumento che unisce, che mette in contatto, in relazione. Non è l’unico, ma è molto potente, è veloce e semplice.
Esistono infinite lingue, e dentro ogni singola lingua, esistono spesso molti dialetti, molti accenti, molte parole che hanno significato forse solo in una regione o addirittura in una città.
Questa moltituide rende la parola uno strumento non sempre universale, ma molto affascinante.
Spesso le persone che conoscono altre lingue oltre la loro lingua madre, acquisicono fascino.
Chissà perchè tuttavia spesso, questo fascino è riservato solo a coloro che hanno scelto di imparare una lingua straniera per diletto, per professione o perchè hanno avuto il privilegio di frequentare delle scuole. Non a coloro i quali forse, quella lingua sono stati obbligati ad impararla senza insegnanti, senza scuole.
Coloro che non hanno viaggiato per piacere, che hanno imparato una lingua per sopravvivere in un paese che prospettava una vita migliore per loro e per i loro figli. Non meritano lo stesso rispetto di chi tanto ci affascina perchè sa parlare molte lingue?
Non solo non meritano rispetto, i nativi della parte “giusta” del mondo si sentono autorizzati ad imitare un accento nella lingua che per loro è la lingua madre. E’ quella che conoscono da quando sono bambini e che non fa venire il mal di testa dopo averla ascoltata per ore provando a comprenderla. Ci si sente autorizzati a ridere per il verbo sbagliato, per l’articolo sbagliato, non capendo che a ridere si è da soli.
Da molti anni ormai, ho un accento. In realtà ce l’ho da quando ho imparato a parlare, ma ho scoperto di averlo più tardi. L’Italia, il mio paese è spettatrice orami da decenni, di un fenomeno migratorio che vede i cittadini del meridione spostarsi verso il nord, per studiare, o perchè al nord ci sono le fabbriche. Le fabbriche in cui i nostri nonni hanno trascorso buona parte della loro vita, le fabbriche che promettevano benessere e che lo fanno ancora oggi.
Così anche io, sorretta dai miei genitori, che con me sognavano il centro ed il nord Italia, sono partita a 19 anni, per andare all’università. Sono partita con un sacco pieno di privilegi, privilegi che molti migranti di altri paesi sognano o neppure riescono a sognare, e sono partita con il mio accento del sud.
Un accento di cui sono consapevole perchè le persone mi riconoscono come meridionale quando parlo. Un accento di cui sono consapevole perchè a qualcuno fa ridere quando parlo, ma non fa ridere me. Il risultato è che quando qualcuno prova ad imitare il mio accento, questo non farà sorridere me, ma solo chi starà ridendo di me e non con me.
Da quando ho lasciato la mia regione di provenienza, vi sono ritornata solo per andare a trovare i miei genitori, nei periodi di festa o durante le vacanze, ma mai stabilmente.
D’allora ho vissuto in Spagna per un periodo, poi in germania, e così ho imparato nuove lingue, e forse ho acquistato un pò di quel fascino, ma ovunque ormai, se non in puglia, la mia regione di nascita, ho un accento quando parlo. Ho un accento quando parlo le lingue straniere che conosco ed ho un accento quando parlo la mia lingua madre, ma fuori dalla puglia. Ho l’accendo del sud, di tutti quei/quelle migranti del sud in cerca di lavoro al nord, lavoratori/lavoratrici di fabbrica, considerati/e ignoranti e troppo legati/e alle loro famiglie ed alle loro tradizioni culinarie.
Per questo sono infastidita quando qualcuno imita il mio accento, perchè anche io, migrante privilegiata, custodisco la memoria dei migranti del sud che non volevano andare via dalle loro regioni, eppure lo hanno fatto, con coraggio.
Sono infastidita perchè le nostre storie meritano rispetto, perchè sono storie di coraggio, sono storie di lontanaza dalle famiglie e di chi ha imparato a lasciare andare qualcosa.
La parole è identitaria, perchè attraverso la parole esprimiamo chi siamo. Io allora, sono fiera di esprimere anche attraverso i miei accenti, la mia storia.
Desidero che tutti i migranti siano fieri del proprio coraggio e che noi tutti possiamo divenire consapevoli. Consapevoli del fatto che tutti a volte, senza neppure volerlo, perpetuiamo uno stigma. Consapevoli del fatto che molte forme di razzismo sono interiorizzate dalla società a tal punto, che anche chi abbraccia valori di uguaglianza e rispetto, può inconsapevolmente cadere egli/ella stesso/a vittima/e – ma anche carnefice – di comportamenti oppressivi.
Nessun privilegio è una colpa o una vergogna, ma è si una responsabilità di cui essere consapevoli.